
Ashtanga Yoga di Maharishi Patanjali
È importante una corretta informazione… lo si deve a questo grande Rishi.
Quante volte ho ricevuto telefonate in cui chiedevano la possibilità di “fare Yoga” tenendo a precisare “non l’AshtangaYoga che è un tipo di Yoga troppo energico e difficile”. Al che rispondevo: che sia difficile, lo credo, soprattutto i primi due passi Yama e Niyama. Realizzare Ahimsa… Satya… ecc… già chi realizza il primo ha già realizzato lo Yoga stesso… e così tutti gli altri passi dell’Ashtanga Yoga energico… non vedevo.
Vediamo che cos’è l’Ashtanga Yoga come ce lo passa la tradizione:
L’Ashtanga Yoga (otto membra o braccia) otto livelli per arrivare alla realizzazione del sé.
Non è uno stile bensì una denominazione, una compilazione sistematica, o codificazione, dello Yoga classico, chiamato in seguito Raja Yoga (Yoga regale), del saggio Patanjali negli Yoga Sutra (scritture dello Yoga), per ordinare e suggerire il percorso che si dovrebbe intraprendere per raggiungere la realizzazione.
Patanjali (pata = caduto dal cielo e anjali o jali = mudra della preghiera. Ovvero la grazia caduta dal cielo) è collocato tra il 400 a.C. al 400 d.C.
La leggenda vuole che sia la reincarnazione del serpente Adisesha (l’Infinito), il re dei Naga, per questo motivo viene quasi sempre raffigurato con la parte bassa del corpo avvolto in spire, sette teste di serpenti che gli fanno da ombrello e le mani nella mudra di preghiera.
L’intenzione degli Yoga Sutra è rendere, a livello informativo, l’elevata esperienza di realizzazione assoluta del Sé, dapprima passata solo verbalmente da Guru a discepolo con metodo iniziatico, e solo rivolto agli uomini, e in seguito portato, attraverso Patanjali, alla conoscenza del popolo. Insomma un manuale pratico, di utilissime “Istruzioni per l’uso“.
Dunque vorrei provare a sintetizzare, in poche righe, questi otto passi per chi, per caso o per ricerca, in questa determinata fase della sua vita, si accosta per la prima volta allo Yoga.
Ashtanga: gli otto stadi principali necessari per intraprendere il cammino progressivo verso quella che gli indiani chiamano liberazione (moksha) dalle rinascite.
I primi due stadi sono costituiti dalla disciplina morale, che comprende sia le cinque regole Yama (che armonizzano le relazioni interpersonali) sia le cinque osservanze Niyama (che armonizzano la relazione con se stessi).
Nel primo stadio, il praticante dovrebbe, dunque, astenersi dall’offendere ogni creatura vivente (Ahimsa), dire la verità (Satya), astenersi dal prendere ciò che non gli appartiene (Asteya), avere controllo delle proprie passioni ed emozioni (Brahmacharya) e non prendere più di quanto gli è necessario (Aparigraha).
Il secondo stadio riguarda i Niyama, che suggeriscono l’osservanza di un corretto approccio con se stessi, cioè: mantenere la purezza del corpo e dello spirito (Saucha), conservare un atteggiamento soddisfatto ed essere felici di quanto si possiede (Samtosha), cimentarsi con costanza, passione e decisione (provando se stessi) al conseguimento della propria realizzazione (Tapas), dedicarsi alla ricerca e studio del Sé più profondo (Svadhyaya) e, infine, meditare e concentrarsi sul Principio, l’Origine (Ishvara-Pranidhana).
Il terzo stadio riguarda gli Asana, le posizioni dell’Hatha Yoga. Asana significa sedile, trono, posizione comoda, pertanto, il praticare queste posizione implica naturalezza, benessere e non sofferenza perché “Uno Yoga che fa male è uno Yoga fatto male!” come diceva un mio caro amico, Gerard Blitz, presidente della Federazione Europea Yoga.
Nel quarto stadio si utilizza la respirazione Pranayama (il controllo del respiro) funzione basilare, molto importante della nostra vita che inizia con una inspirazione e termina con un’esalazione. Il controllo del respiro consente un’acquisizione di consapevolezza e permette di portare la propria attenzione sul presente.
Il quinto stadio Pratyahara, corrisponde alla dissensazione, al ritiro della coscienza e dei sensi dall’esterno per portarla all’interno, un assorbimento che induce il passaggio all’anga successivo.
Il sesto stadio, contempla la concentrazione Dharana. Dharana consente alla mente di focalizzare un solo oggetto escludendo tutti gli altri. Questo permette di eliminare le distrazioni e qui si entra nei livelli più spirituali.
Nel settimo stadio si arriva a Dhyana, la contemplazione, che si divide in altri livelli. Nella Gheranda Samhita viene diviso in tre parti. Il primo detto concreto e grossolano (Sthula), il secondo detto luminoso (Jyotis), il terzo detto sottile (Sukshma) .
La conseguenza arriva con l’Ottavo stadio, Samadhi, che è l’estasi suprema, l’immersione nel Tutto. La non separazione. Anche questo stadio ovviamente ha parecchi livelli. Per Patanjali ve ne sono due: quello conscio (samprajnata) e quello inconscio (asamprajnata). Questi si dividono in altri. In effetti, ognuno può sperimentare un suo personale Samadhi.
Comunque volevo puntualizzare che il percorso non segue rigidamente questi passi. Uno stadio non può essere dissociato dagli altri. Ogni individuo potrebbe stravolgere questo elenco.
Ebbene, credo di aver spiegato un poco quello che è l’Astanga Yoga codificato da Patanjali e la differenza con l’Astanga Vinyasa che ha creato molta confusione in Occidente. Infatti è visto a volte come un “tipo di Yoga violento o troppo energico”.
Un tale concetto errato non può che portare a fraintendimenti, con danni allo yoga stesso perché può allontanare i neofiti da un percorso utile .
In effetti la confusione è nata da una linea di Yoga creata da Shri Krishna Pattabhi Jois, discepolo di Sri Krishnamacharya. Si parla di uno stile recente, della metà del secolo scorso, e precisamente chiamato “Ashtanga Vinyasa Yoga”.
È una evoluzione dello Yoga contemporaneo, non uno yoga violento, ma è una proposta personale di uno yoga con inserimento di Dharana (concentrazione), Bandha (contrazione o legame) e di un determinato Pranayama (respirazione) che controlla la cintura addominale.
Ovviamente, non è un sistema facile, da proporre a tutti indiscriminatamente. Per seguire questo stile si deve essere in buona salute e con un corpo preparato ginnicamente. Oppure, con una graduale preparazione, può costruire bene l’apparato muscolare e preparare ginnicamente.
Quello che, invece, mi preme evitare è la confusione in cui si trova chi si accosta per la prima volta a queste profonde discipline, e fatica a distinguere la tradizione dalle fusioni.
Anche perché, visto che siamo in un periodo in cui impera la filosofia dell’apparire più che dell’Essere, un lavoro che consente una costruzione fisica diventa senza dubbio più appetibile e quindi più diffuso.
E qui che si instaura una identificazione dello YOGA in un aspetto travisato che non appartiene alla natura stessa dello Yoga come è nato e consolidato in millenni.
Al di là dell’Astanga Vinyasa Yoga che si basa, comunque, su sequenze di Saluto al Sole e quindi possiede un legame alla tradizione con solamente alcune trasformazioni personali del creatore del secolo scorso (a metà del 1900) che lo rendono prevalentemente ginnico, con degli inserimenti di controllo del respiro e dei bandha, e alla lunga si finisce con l’identificare lo “YOGA” con queste forme attuali che dello yoga non hanno più nulla a che vedere. Dove non si trova traccia della profonda scienza di questa disciplina a cui hanno strappato le radici, e il risultato è un’aberrazione: vedi gli improbabili Yoga bike, Yoga della risata, Woga, Yoga antigravity ecc.
Come un pianta recisa, senza radici, non può dare fiori e frutti, e finisce con il diventare una sterile cosa secca, così lo yoga senza le sue origini viene snaturato e non può produrre, fruttificare… e diviene una sterile… cosa secca.Lo Yoga, come è stato tramandato nei vari millenni, possiede un potere inimmaginabile che dovremmo tenere in grande considerazione.
Un viaggio affascinante che una persona in ricerca può percorrere indipendentemente dalla scelta della tecnica.
Non uno stile di Yoga ma uno stile di Vita.
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